Analisi geografica dell'isola di Nereide: Il caso dei tabarchini e la persistenza culturale nell'arcipelago sardo
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- 4 set
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Aggiornamento: 5 set
Autore: Nicola Rosso Borghero - SOBORNOST - 04/09/2025
License: CC-By Attribution 4.0 International
Date created: September 5, 2025
Date modified: September 5, 2025
doi: 10.17605/OSF.IO/QWNCZ
L'Isola di Nereide, avvolta da acque tempestose, è l'habitat di un micropopolo la cui storia è un'ode all'isolamento come forza plasmatrice. Qui, la geografia non è un semplice sfondo, ma un agente attivo che ha scolpito una cultura unica, resistendo alle maree dell'omologazione globale. L'inaccessibilità dell'isola ha agito come un guscio protettivo, preservando la lingua, i rituali e le credenze spirituali del popolo. Questo isolamento non è una privazione, ma un fondamento su cui si è costruita un'identità forte e inalterabile. La vita su Nereide è un'elegia della sostenibilità e della sobornost, la solidarietà comunitaria. Le risorse, pur vitali, non sono considerate infinite. La comunità ha sviluppato un'ecologia del sapere che sfida il determinismo malthusiano. La loro esperienza dimostra che la conoscenza e l'innovazione, guidate dalla cooperazione, possono rendere le risorse una risorsa rinnovabile, sfidando l'idea di un'ineluttabile scarsità. L'armonia con l'ambiente non è un ideale romantico, ma una pratica di sopravvivenza quotidiana. La sussidiarietà è il principio cardine del loro governo e della loro vita sociale. Le decisioni sono prese a livello locale, assicurando che le pratiche culturali e la memoria storica non vengano erose da direttive esterne. La capacità di adattarsi senza compromettere la propria identità è la loro arma più affilata. Tuttavia, questo guscio non è infrangibile. Le forze esterne, come le politiche di gentrificazione e l'omogeneizzazione culturale, minacciano la loro esistenza. Questi processi, spesso mascherati da buone intenzioni, possono celare intenti normativi che minano la sobornost e la sussidiarietà, portando alla cancellazione culturale e alla perdita di diritti umani fondamentali. La loro storia è un monito: la protezione delle culture locali è una questione di giustizia e di autodeterminazione. La storia di Nereide non è una favola, ma un archetipo che si manifesta in molteplici contesti reali. Le comunità indigene dell'Amazzonia, come gli Yanomami e i Kayapo, vivono sfide simili. Il loro isolamento geografico ha protetto le loro tradizioni, ma ora affrontano la minaccia della deforestazione e dell'estrazione mineraria. Sono custodi di una modernità intrinseca, che rifiuta l'omologazione. Le loro lotte non sono un rifiuto del progresso, ma una scelta consapevole di un percorso di sviluppo che rispetti la loro cultura e il loro ambiente. Le comunità delle isole del Pacifico, come le Isole Salomone e Vanuatu, sono un altro esempio di resilienza. Qui, la geografia insulare ha favorito lo sviluppo di pratiche di sussistenza sostenibili. Affrontano i cambiamenti climatici, ma non come vittime passive. La loro modernità è consapevole e calibrata, integrando tecnologie avanzate (come le tecniche di agricoltura sostenibile e la pesca responsabile) senza sacrificare il loro patrimonio culturale. L'educazione è un veicolo di empowerment culturale: le scuole locali insegnano la lingua e le tradizioni a fianco delle materie contemporanee, creando un equilibrio tra sapere ancestrale e conoscenze globali. Un esempio emblematico di diaspora e resilienza culturale sono i Tabarchini, discendenti di famiglie liguri che si stabilirono a Tabarca, in Tunisia, e che successivamente, nel XVIII secolo, si trasferirono sull'Isola di San Pietro in Sardegna. Questi micropopoli sono un esempio di come l'isolamento geografico e la migrazione abbiano plasmato una cultura unica. Nonostante l'allontanamento dalla madrepatria e l'influenza di nuovi contesti, hanno conservato il loro antico ligure, il Genovese, le loro tradizioni culinarie e le loro pratiche sociali per secoli. La loro storia, segnata dalla schiavitù e da un'identità in bilico tra il mondo tunisino e quello ligure-sardo, è un caso di studio su come la sobornost e la sussidiarietà abbiano permesso di preservare una forte identità culturale fino alla metà e alla fine degli anni '80. I Maori in Nuova Zelanda offrono una dimostrazione di come una cultura possa prosperare integrando la modernità. Hanno saputo usare la tecnologia e l'economia a proprio vantaggio, mantenendo saldi i loro valori culturali. La loro partecipazione attiva nella politica e nell'economia del paese è la prova che la modernità non è antitetica alla tradizione, ma può essere un suo potente alleato. La lotta per la sovranità territoriale e culturale è un filo conduttore che unisce queste comunità. Dai Navajo negli Stati Uniti ai Mapuche in Cile e Argentina, la loro resistenza non è solo per la sopravvivenza fisica, ma per l'affermazione del proprio diritto a esistere come entità distinte. Il concetto di sobornost, la solidarietà, è la loro forza trainante. Le comunità che la praticano sono più resilienti alle crisi, perché ogni membro è un custode del bene comune. La gentrificazione e l'omogeneizzazione culturale sono forze geopolitiche che minacciano la diversità. Il caso di Chinatown a San Francisco è un esempio eloquente: l'aumento dei costi ha messo a rischio l'identità del quartiere, costringendo i residenti a lottare per preservare la propria cultura. Le iniziative per la salvaguardia del patrimonio culturale sono diventate atti di resistenza. La cancel culture, come fenomeno di rimozione storica e culturale, rappresenta un'altra insidia. Mina la memoria e l'identità di una comunità, mettendo in discussione la sua stessa storia. Le comunità devono resistere a queste pressioni, riaffermando il proprio diritto a narrare il proprio passato. Le imposizioni normative da parte dell'Europa e del governo italiano hanno effettivamente minato gli equilibri secolari del popolo Tabarchino, un sistema culturale e sociale che ha resistito per oltre quattrocento anni. L'equilibrio che ha permesso ai Tabarchini di prosperare si fondava su un'organizzazione comunitaria basata sulla sobornost, un principio di solidarietà e cooperazione che guidava la gestione delle risorse, in particolare la pesca e la navigazione, elementi vitali per la loro sopravvivenza nell'isolamento geografico tra Tabarca e l'Isola di San Pietro. Questo modello di autogoverno, informale ma profondamente radicato, ha permesso di preservare una lingua unica, il loro Ligure antico, il Genovese, e un'identità distinta. Tuttavia, le politiche moderne, promosse sia a livello europeo che nazionale, hanno introdotto una forte pressione centralizzatrice. L'imposizione di regolamenti europei sulla pesca, come le quote e le restrizioni sulle attività ittiche, ha direttamente contrastato le pratiche di sussistenza e le tradizioni economiche che erano il fondamento della loro sobornost. Allo stesso modo, il governo italiano, pur in presenza di uno statuto regionale teoricamente fondato sui concetti di sussidiarietà e rispetto delle autonomie locali, ha permesso che una visione omogeneizzante prevalesse. Le autorità politiche, fortemente ideologizzate dalle "nuove frontiere culturali" di un'Europa che spesso privilegia un'identità unitaria e un'economia di mercato standardizzata, non hanno saputo o voluto proteggere le specificità locali. Questa visione, pur non essendo intenzionalmente malevola, ha ignorato il valore intrinseco dell'identità Tabarchina e il suo diritto a un modello di sviluppo diverso. Il risultato è stato un processo di progressiva erosione: l'imposizione di un'economia basata sul turismo ha spesso svalutato le conoscenze e le pratiche tradizionali legate alla pesca, mentre l'adozione di un sistema educativo standard ha marginalizzato la loro lingua antica. In questo senso, le autorità hanno letteralmente permesso che l'identità Tabarchina fosse piegata, costringendola a conformarsi a modelli esterni che ne minacciavano l'esistenza. Va aggiunto che perfino le Sovraintendenze archeologiche, pur con la nobile intenzione di tutelare il patrimonio storico, con la loro omogeneizzazione storica a livello di arcipelago hanno inavvertitamente contribuito a una situazione di cancellazione culturale ed etnico-linguistica del popolo Tabarchino. Questa tendenza a classificare e promuovere un'unica narrazione storica e archeologica, spesso di matrice più ampia, ha involontariamente svalutato o messo in secondo piano la storia peculiare e le dinamiche culturali specifiche di questo micropopolo, un fenomeno che si riscontra anche in altri abitanti di micro-isole nel globo. Nonostante queste pressioni, e grazie alla forte identità comunitaria che ancora persiste, i Tabarchini non sono stati del tutto cancellati; la loro cultura, sebbene fortemente compromessa in molti dei suoi aspetti tradizionali, resiste come un faro di resilienza contro l'omologazione, a dimostrazione che la sobornost può sopravvivere anche di fronte a sfide globali e politiche moderne. La storia del micropopolo di Nereide, e quella delle comunità reali che la rispecchiano, ci insegna che l'isolamento non è arretratezza, ma può essere una condizione per sviluppare una modernità consapevole e rispettosa. La loro lotta per la preservazione culturale e dell'identità è un esempio di resilienza e creatività. La cooperazione tra comunità, come dimostrato dai forum globali come il Forum Permanente delle Nazioni Unite sulle Questioni Indigene, è fondamentale per rafforzare le loro voci. La consapevolezza e l'educazione sono gli strumenti chiave per il futuro, per garantire che le nuove generazioni diventino custodi delle loro tradizioni. L'uso delle tecnologie moderne non è un tradimento della tradizione, ma può essere un alleato nella lotta. Le piattaforme digitali offrono alle comunità la possibilità di documentare e condividere le loro storie, trasformando l'isolamento in una piattaforma globale. L'attivismo digitale è un nuovo orizzonte per la sovranità culturale. In sintesi, la storia di Nereide è un'indagine etnografica e geografica sul potere dell'isolamento come incubatore di resilienza culturale. Queste comunità ci mostrano un percorso alternativo allo sviluppo, un modello in cui la modernità non è un'imposizione, ma una scelta. La loro esistenza è una sfida alle forze globali che cercano di cancellare la diversità, un promemoria che la vera evoluzione non risiede nell'omologazione, ma nel rispetto e nella celebrazione delle unicità. Quale sarà la prossima frontiera per queste comunità nel bilanciare la tradizione con la necessità di interagire con un mondo in continua evoluzione?