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La farsa delle rinnovabili nell'arcipelago della Sardegna: un'invasione che solleva domande

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    Esplora geologiavventurosa
  • 5 set
  • Tempo di lettura: 6 min

Autore: Nicola Rosso Borghero - SOBORNOST - 05/09/2025

L'arcipelago della Sardegna, con il suo potenziale energetico, potrebbe essere un modello di transizione ecologica. Ma è davvero così? La retorica della sostenibilità nasconde una realtà amara: l'isola è al centro di una corsa alle rinnovabili che sembra più una colonizzazione energetica che un progetto di sviluppo equo. Mentre gli articoli celebrano i progressi, perché i popoli dell'arcipelago protestano con forza, sentendo che l'identità del territorio è a rischio? La narrazione di una transizione inarrestabile spesso ignora le preoccupazioni di chi vive l'arcipelago. Se Greenpeace definisce l'arcipelago della Sardegna "strategico" per l'eolico, perché da oltre quindici anni si assiste a una crescente opposizione, esplosa negli ultimi due anni? E come mai la pianificazione non ha mai coinvolto autenticamente i cittadini? Il Piano Energetico regionale, pur ambizioso, si è dimostrato più formale che operativo. Se l'arcipelago della Sardegna ha uno dei mix energetici più "sporchi" d'Italia, come sottolinea Materia Rinnovabile, questo divario tra promesse e realtà non è forse sintomo di una gestione inadeguata? La lentezza nell'attuazione del Piano ha reso evidente che le priorità sembrano essere altrove. L'approvazione di una moratoria di diciotto mesi sull'installazione di nuovi impianti, pur escludendo l'autoconsumo, non rappresenta forse una palese contraddizione? Il problema è più profondo: si parla di "colonialismo energetico" per descrivere progetti finanziati da società estere che non lasciano profitti sul territorio. L'energia prodotta viene esportata, ma è accettabile che un arcipelago con un principio di autonomia regionale venga trasformato in una mera fonte di risorse, senza alcun beneficio tangibile per i suoi abitanti? Questo approccio evidenzia una netta violazione del principio di sussidiarietà. Questo principio, fondamentale nelle politiche europee e nella gestione degli enti locali, stabilisce che le decisioni debbano essere prese al livello più vicino possibile ai cittadini. Nel caso dell'arcipelago della Sardegna, la pianificazione energetica non rispetta questo criterio. Il Piano regionale, così come è stato concepito e attuato, sembra ignorare le esigenze e le preoccupazioni dei popoli, delegando di fatto la gestione delle risorse a un livello superiore o a interessi esterni, invece di supportare le iniziative locali e l'autoconsumo diffuso.

Questo modello di sviluppo non è solo un errore politico, ma il risultato di una concezione scientifica obsoleta e fuorviante: quella delle Smart City. Questo paradigma presuppone che la soluzione ai problemi energetici risieda in grandi e centralizzate infrastrutture tecnologiche, capaci di gestire e ottimizzare i flussi di energia e dati in modo "intelligente". Si progetta un futuro in cui le energie vengono prodotte in luoghi periferici e rurali, per essere poi consumate nei grandi centri urbani, dove si concentrano i servizi e le tecnologie di controllo. Questo approccio, tuttavia, è profondamente errato per l'arcipelago della Sardegna e per altri territori con caratteristiche simili. Ignora completamente il concetto di decentramento energetico. Invece di incentivare la produzione distribuita e l'autoconsumo, ovvero la possibilità per i popoli dell'arcipelago, le aziende agricole o le piccole imprese di produrre e consumare la propria energia, il Piano regionale sembra orientato a favorire megaprogetti lontani dai centri di consumo. In questo schema, l'arcipelago della Sardegna diventa una "batteria" a cielo aperto per le Smart City delle regioni settentrionali, Liguria esclusa, che stanno affrontando a loro volta la stessa problematica di lottizzazione territoriale. Questo modello perpetua un rapporto di dipendenza, trasformando le aree rurali e costiere in zone di sacrificio per il "progresso" di altri. Le soluzioni scientificamente più avanzate e sostenibili, come la produzione diffusa, l'efficienza energetica e l'uso di tecnologie a impatto zero, vengono ignorate a favore di un approccio centralizzato che rispecchia una logica di potere, e non di sostenibilità. In questo contesto, perché il sistema ambientalista, nato come un movimento onesto e sincero, sembra oggi una "false flag" che nasconde interessi economici e speculativi? È possibile che, sotto la bandiera della sostenibilità, si stiano favorendo gli affari di pochi a discapito dei popoli dell'arcipelago e dell'ambiente? Tutto ciò solleva una domanda con basi scientifiche: perché si propongono solo le energie più diffuse ma con impatti visibili, e non si considerano alternative come le energie meteomarine, le biomasse da foreste sostenibili non in monocultura, o un idroelettrico appositamente configurato? E perché non si sfrutta la dissalazione per ottenere sia energia che materie prime? Come mai i famosissimi centri di ricerca sardi tacciono sulle energie magnetiche a impatto zero, che potrebbero produrre circa e poco più di 3,5 KW con uno strumento grande quanto una cassetta di pomodori, termine allegorico, contribuendo insieme al biogas prodotto del comparto agricolo regionale? Perché gli "esperti" così pronti a svalutare le nuove idee continuano a proporre dai loro scranni solo soluzioni vetuste? La soluzione non è un ritorno al nucleare di quarta generazione, con i suoi rischi di sicurezza e gestione delle scorie, neppure nel guadagnare da tecnologie inutili yoyo e neppure dallo stoccaggio di Co2 che è solo un rifiuto che non produce energia e se dovesse produrla è probabile sia totalmente insufficiente al fabbisogno dell'arcipelago. Vien da pensare che vogliono usare i telescopi e radio-telescopi (energivori) per osservare il pelo del marziano sempre se ne abbia uno.

La soluzione per l'arcipelago della Sardegna non risiede nel perpetuare una dipendenza, ma nella creazione di un archetipo di sistema energetico off-grid o meglio come piace definirli correttamente diffusi sulla sistemica complessa. Questo modello rappresenta l'esatto opposto del centralismo delle "Smart City". L'obiettivo è concepire un sistema che non si limiti a produrre energia per altri, ma che crei valore aggiunto per l'arcipelago stesso, integrando diverse fonti in modo sostenibile e intelligente. Quando si parla di off-grid, non si intendono solamente i pannelli fotovoltaici (una tecnologia ormai vetusta), ma si intende l'utilizzo di soluzioni innovative come i motori magnetici (simili a quelli impiegati nel settore militare e industriale), che possono garantire una produzione energetica localizzata ed efficiente. Un esempio concreto di questo archetipo è l'integrazione tra l'energia idroelettrica e i processi di desalinizzazione. L'acqua è una risorsa preziosa per l'agricoltura e i popoli dell'arcipelago. Utilizzare l'energia in eccesso prodotta dall'idroelettrico, soprattutto nelle ore di minor richiesta, per alimentare impianti di desalinizzazione, non solo sfrutterebbe al massimo le risorse esistenti, ma creerebbe un ciclo virtuoso. Da un lato si otterrebbe acqua potabile o irrigua, risolvendo un problema endemico; dall'altro, si recupererebbero le materie prime derivanti dal processo, come i sali, che possono essere riutilizzati in vari settori, generando ulteriore reddito e indotto locale. A questo si aggiunge la possibilità di coltivare la Posidonia oceanica in modo mirato, andando a contrastare la diffusione invasiva della Caulerpa. Questo processo di riforestazione marina, unito alla raccolta controllata della Posidonia spiaggiata per la produzione di biogas, ripristinerebbe gli equilibri biologici costieri. Storicamente, la Posidonia ha già rappresentato una risorsa di grande valore per le comunità sarde, utilizzata sin dal Medioevo come fertilizzante naturale per arricchire i terreni agricoli e come combustibile per il riscaldamento, testimoniando un'antica saggezza nel riuso di questa preziosa risorsa marina. Il ripopolamento di queste "praterie sottomarine" favorirebbe un netto incremento delle risorse ittiche locali, a beneficio diretto del mare e dei popoli costieri. Queste tecnologie esistono e, insieme al motore magnetico, offrono la possibilità di una produzione energetica pulita e localizzata che garantisce un guadagno economico per il capitale e, al contempo, un netto miglioramento della salute e della civiltà dei popoli sardi. Il progetto Pelamis è una conoscenza che risale a diversi anni fa, e la sua potenziale applicazione nell'arcipelago della Sardegna rispecchia la necessità di esplorare e implementare tecnologie innovative e sostenibili, come i sistemi di generazione a moto ondoso tipo Pelamis. Questi sistemi galleggianti, posizionati strategicamente lontano dalle aree di pesca, non solo generano energia pulita, ma possono anche svolgere una funzione di protezione costiera, riducendo l'erosione e la perdita di quel patrimonio paesaggistico che è cultura e storia, e che genera PIL locale. A queste si potrebbero integrare le biomasse da forestazione, gestendo in modo sostenibile l'estrazione del legname senza ricorrere a specie invasive come la pavulonia, che non è una risorsa, ma un fattore disturbante degli equilibri territoriali. La soluzione esiste e si basa sulla scienza, sul rispetto del territorio e sul coinvolgimento dei popoli. A questo punto, sorge una domanda fondamentale: perché il piano energetico sardo, con il suo approccio centralizzato e impositivo, è totalmente contrario al concetto di sobornost? Questo termine, coniato da Aleksey Khomyakov, non indica una semplice democrazia, ma una libera unione di individui basata sul rispetto e sull'aiuto reciproco, dove la verità e le decisioni emergono da una collettività coesa e rispettosa delle singole unicità. Il modello sardo non solo non rispetta la sussidiarietà, ma fallisce nel creare un'unità libera e solidale, trasformando i cittadini in meri destinatari passivi di scelte calate dall'alto, e non in attori attivi di una visione comune. Il piano ignora il dialogo, la cooperazione volontaria e la ricerca di una soluzione unanime, preferendo la logica del potere e dell'efficienza imposta. Invece di unire i sardi in un progetto comune, li divide tra chi subisce e chi beneficia, tradendo completamente l'ideale di comunione che la vera sostenibilità dovrebbe incarnare. Se quindi il sistema energetico e il suo piano sono contrari ai principi di sussidiarietà e sobornost, andando contro i popoli dell'arcipelago e le loro differenze, la politica continua a essere miope, a non comprendere le vere necessità. La risposta al problema di fondo del sistema amministrativo regionale dell'arcipelago della Sardegna è dare voce e potere decisionale ai suoi popoli, abbandonando il modello centralizzato per abbracciare un approccio veramente decentrato e sostenibile.

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